Rileggere da grandi le poesie che la scuola ci ha insegnato
Coordinatore: prof. Tommaso De Luca, già preside dell’A. Avogadro
Tutti ricordiamo, magari senza averle dovute imparare a memoria, alcune poesie che ci suonano familiari come una canzone, come una ninna nanna, che si sono infilate nei meandri della memoria da tanti, tantissimi anni. Forse non ne ricordiamo il titolo, forse neanche l’autore e neppure a chi appartenesse quella mano di bimbo, ma se sentiamo: «L’albero a cui tendevi / la pargoletta mano» immediatamente ci torna in mente: «il verde melograno / da' bei vermigli fior».
Rileggiamo allora le grandi poesie a distanza di cinquanta e più anni, anni di dolori, di gioie, di progetti e disillusioni, in una parola: di vita. Un vissuto che attribuisce spessore e profondità a quanto avevamo relegato inerte al passato e al convenzionale.
A scuola aveva prevalso la visione pedagogica della letteratura, si era esaltata la sua funzione etica, di palestra di virtù individuali e civili; quelle letture ne uscivano ammaccate e traballanti nelle loro buone intenzioni, qualche volta persino antipatiche; sempre apparivano poco utili. Oggi in realtà la poesia, proprio quella letta a scuola con distrazione, parla eccome al nostro vissuto e ci appare diversa da come ci sembrava, perché siamo diversi noi.
“Un libro non esiste di per sé”, scrive Sciascia, “soprattutto perché è diverso per ogni generazione di lettori, per ogni singolo lettore e per lo stesso singolo lettore che torna a leggerlo”; è come riscritto in ogni epoca in cui lo si legge e ogni volta che lo si legge. E sarebbe allora il rileggere un leggere: ma un leggere inconsapevolmente carico di tutto ciò che tra una lettura e l’altra è passato su quel libro e attraverso quel libro, nella storia umana e dentro di noi.